C’era una volta l’idiota

Sin dai tempi dell’uomo di Neanderthal l’idiota ha avuto una certa utilità sociale.

L’idiota mangiava le bacche sconosciute per primo: se andava male moriva o veniva colpito da forti malesseri, facendo in modo che il resto del gruppo potesse mangiare in sicurezza.

Me li vedo gli uomini del tempo dire a Crog: “senti Crog, prova un po’ quella bacca blu”.

Crog non si faceva troppe domande. Crog era felice di essere preso in considerazione. Per il gruppo, se fosse andata bene Crog sarebbe tornato utile per altre bacche.

O come esca per quel leone laggiù.

Facciamo un salto di qualche migliaio di anni. Dai tempi dei romani in poi la figura dell’idiota ha avuto ancora una certa utilità sociale: lo “scemo del villaggio” era trattato come una forma accettabile di individuo squilibrato, compatibile con le allora prevalenti concezioni normative dell’ordine sociale.

Anche nell’Europa del Medioevo, ad esempio, lo scemo del villaggio trovava un suo ruolo e una legittima collocazione, personaggio in certo qual modo tollerato, accolto, e nutrito dalla società. Gli scemi del villaggio “non lavoravano, non erano sposati, non facevano parte del sistema del gioco, e il loro linguaggio era piuttosto svalutato”.

Wikipedia spiega tutto molto bene, come al solito.

Erano mantenuti dalla società, che quindi parassitavano. Erano poco più che un divertissement.

Tutto cambia con l’avvento della civiltà industriale. Tutti dovevano essere utili e non c’era più tempo da dedicare allo scemo del villaggio.

Col tempo gli idioti di una volta si sono trasformati: stavano al bar, in un angolo da soli a bere il loro camparino, o a casa, perché quando mettevano il muso fuori dalla porta venivano ricacciati dentro dalle risate della gente.

Venivano isolati e non avevano modo di interagire con altri idioti loro colleghi, si riproducevano a stento e la selezione naturale faceva il resto.

Oggi no. Lo scemo del villaggio globale può aprire una pagina Facebook, così come fanno la NASA o la Banca Centrale Europea. I suoi colleghi non crederanno ai loro occhi: finalmente qualcuno al loro livello. I vari scemi si riuniscono oggi online, vivendo nel comfort della loro cameretta, felici di aver finalmente qualcuno che (forse) li ascolta.

Sfogano così le loro frustrazioni, e ogni like o condivisione è una piccola vittoria contro la società che ormai non si cura più di loro.

Da qui il paradosso: da persone ai margini, a protagonisti urlanti dell’oggi.

A Madrid si fa la fila

Siamo stati 9 giorni in Spagna. Prima a Madrid, poi a Barcellona. Ci siamo mossi in treno da una città all’altra: un po’ perché gli aeroporti sono una perdita di tempo, un po’ perché ci piace viaggiare in treno.

Non ero mai stato stato in Spagna: lo ammetto, una grossa mancanza. Abbiamo sopperito abbondantemente.

Una cosa che mi ha stupito di Madrid è la quantità di “file” che tocca affrontare…

  • Vuoi mangiare? Fai la fila.
  • Vuoi entrare al museo? Fai la fila.
  • Vuoi comprare un biglietto della lotteria? Fila.
  • Capodanno in piazza? Fila.

Di Barcellona invece non posso dire nulla. Caos organizzato. Organizzatissimo. Una spinta verso l’autonomia che è ancora viva e forte, anche se i giornali qui non ne parlano.