Beppe Sala, sindaco di Milano, puntuale come un orologio, getta anche questa settimana il sasso del “basta smart-working” per poi nascondere subito la mano.
“È evidente che una parte della città è ferma perché qualcun altro non lavora in presenza. Capisco che c’è una necessità di smart working, però non consideriamola normalità.
Se dovessimo considerarlo normalità dovremmo ripensare la città e ripensare la città richiede tempo”.
Sai che c’è Beppe Sala? Basta.
Milano ha campato di storytelling e aperitivi post-ufficio per troppo tempo. Togli a Milano la gente che va a lavorare e cosa rimane?
Il turismo ormai te lo scordi, non puoi contarci fino alla ripresa completa/vaccino.
Il “milanese” non esiste più da 50 anni. Sono (siamo) tutti terroni che lavorano a Milano e quei pochi rimasti sono tutti nella loro casetta ad Alassio e non vanno certo ai Bagni Misteriosi se hanno l’alternativa.
Tantissimi ristoranti, bar, negozi campano con i pendolari, che magari si fermano anche per l’aperitivo, così evitano il traffico della tangenziale.
Di andare al ristorante è passata la voglia, di andare in giro anche, tra mascherine, metri di distanza, ecc…
Cosa rimane a Milano se togli i lavoratori? Rimane una città in gran parte brutta (siete mai stati in Bicocca o in Piazzale Maciachini? O a Corvetto? O anche solo fuori dall’area C?), bar e ristoranti che propongono cibo di merda a prezzi stratosferici e poco altro.
Beppe Sala non è uno scemo e lo sa. Non può vendere Milano se perde i suoi più grossi clienti. Non può sperare di vincere le elezioni (comunali o regionali che siano) se deve ripensare la città.
Lo smart working è qui per restare, le aziende stanno cominciando a capire ora i vantaggi (non solo economici) della cosa. E Milano ha paura.